È singolare che oggi si possa parlare di rifiuti, waste, dechets, come qualcosa a parte, come un quinto elemento, come qualcosa che va trattato al pari dell’acqua, l’aria, il fuoco, la terra. Fino alle soglie della post-modernità esisteva solo la questione di come relazionarsi alla deriva degli oggetti, al loro sfilacciarsi tra generazioni, al loro passare di mano in mano… non si pensava che una volta gettate nel cestino o nella spazzatura le cose cambiassero statuto, diventassero dei paria, degli intoccabili da dimenticare.

Il rifiuto come male necessario è talmente presente che costituisce monti, colline, altopiani, discariche, mucchi e ammucchi. Essi sono il rimosso della città, l’inconscio “vergognoso”… Per questo sono diventati luoghi di un non toccato, non detto. Sono diventati certo “non luoghi”, ma in un senso che ricorda i luoghi sacri, quelli “lasciati fuori”, la geografia dell’off limits… Nell’India creatrice anche le discariche stanno diventando il territorio di nuove divinità… Lo sbarazzo, che è l’atteggiamento occidentale nei confronti del rifiuto, è una rimozione. Come se appunto l’unica operazione possibile, in perfetta chiave analitica, sia quella dello spostamento altrove, un altrove che si vorrebbe dimenticare… Sbarazzare è il contrario di imbarazzare; l’imbarazzo viene sgombrato, il problema risolto affermando che esso sta altrove (a monte, a valle).

(Lucy Walker – Waste Land (2010))

Una delle visioni che turbano gli occidentali è vedere, nei Paesi del Terzo Mondo, coloro che vivono sulle immense discariche delle grandi città e che da esse riescono a trarre alimento e sostentamento. Ciò ci fa impressione perché questi signori delle discariche mettono le mani su qualcosa che noi avevamo ritenuto per sempre “andato”. Essi compiono un’operazione sconvolgente, cercano nel rifiuto, nel left apart, l’essenziale.

Nulla è superfluo, perché tutto è all’interno della relazione che vincola gli uomini al mondo materiale... (tutto poggia sul fatto) che le cose diventano umane relazionandosi con noi (ma anche, reciprocamente, che noi diventiamo umani relazionandoci con le cose, ndr)

Le città ci sono state tramandate da questa trasformazione, le città del mondo europeo, sono il risultato di una “pulizia” che ha reso gli spazi funzionali e monotoni, le folle omogenee e gli spostamenti non ingombrati dalla vita di strada. I poveri sono diventati invisibili, deportati nei casermoni di periferia, o eliminati del tutto, avendo la povertà scelto la strada della specializzazione geografica, il cosiddetto Terzo mondo, cioè il luogo dove la povertà è stata trasferita per consentire alle città del Primo mondo di avere un aspetto e un benessere omogeneo… La modernità è un’opera quasi perfetta di rimozione della povertà, del problema e delle sue evidenze. L’elemosina è il resto di questa rimozione…

(Estratti da Franco La Cecla, Non è cosa. Vita affettiva degli oggetti )