Pablo Neruda – Ode alle cose

(traduzione di Antonio Giannotti)

 

AMO le cose pazze,

pazzamente.

Mi piacciono le pinze,

le forbici,

adoro

le tazze,

gli anelli di ferro,

le zuppiere,

senza parlare, ovviamente,

del sombrero.

Amo

tutte le cose,

non soltanto

le supreme,

ma

le

infinita-

mente

piccole,

il ditale,

gli speroni,

i piatti,

i vasi da fiori.

Ahi, anima mia,

bello

è il pianeta,

pieno

di pipe

per la mano

condotta

nel fumo,

di chiavi,

di saliere,

infine,

tutto

quelle che fu fatto

dalla mano dell’uomo, ogni cosa:

le curve della scarpa,

il tessuto,

la nuova nascita

dell’oro

senza il sangue,

gli occhiali,

i chiodi,

le scope,

gli orologi, le bussole,

le monete, la soave

soavità delle sedie.

Ahi, quante

cose

pure

ha costruito

l’uomo:

di lana,

di legno,

di vetro,

di corde,

tavole

meravigliose,

navi, scale.

Amo

tutte

le cose,

non perché siano

ardenti

o fragranti,

ma perché

non so,

perché

questo oceano è il tuo,

è il mio:

i bottoni,

le ruote,

i piccoli

tesori

dimenticati,

i ventagli nei

cui piumaggi

svanì l’amore

e le sue zagare,

i bicchieri, i coltelli,

le forbici,

tutto ha

nel manico, nel contorno,

l’impronta

delle dita,

di una remota mano

perduta

nel più dimenticato dell’oblio.

Io vado per case,

strade,

ascensori,

toccando cose,

distinguendo oggetti

che in segreto ambisco:

uno perché si vanta,

un altro perché

è tanto soave

come la soavità di un’anca,

un altro per il suo colore di acqua profonda,

un altro per il suo spessore di velluto.

Oh fiume

irrevocabile

delle cose,

non si dirà

che solo

amai

i pesci,

o le piante di selva e di prateria,

che non solo

amai

ciò che salta, sale, sopravvive, sospira.

Non è vero:

molte cose

me lo dissero tutto.

Non solo mi toccarono

o le toccò la mia mano,

ma accompagnarono

in tal modo

la mia esistenza

che con me esistettero

e furono per me tanto esistenti

che vissero con me mezza vita

e moriranno con me mezza morte.